Dalla letteratura scientifica... alla clinica
Ci ripromettiamo di condividere una volta al mese, un commento su
un articolo, un libro, un congresso, o un incontro  che ci abbia colpito,
per offrire spunti di discussione a chi è interessato alla ricerca sui neuroni specchio


L’articolo di questo mese 

Self-compassion and dorsolateral prefrontal cortex activity during sad self-face recognition in depressed adolescents.
G Liu , N Zhang,  J Yuan Teoh, C Egan, T A Zeffiro, R J Davidson, K Quevedo.
Psychol Med. 2022 Apr;52(5):864-873

parla dell’effetto, valutato con la fmri, della visione del proprio volto emozionato. La visione del proprio volto triste ha un effetto diverso dalla visione di quello altrui. Questo studio conferma l’impianto teorico della Self Mirroring Therapy, che si basa sulla visione del proprio volto emozionato, che secondo la embodied simulation theory di Gallese e coll dovrebbe avere la massima efficacia nell’attivare l’auto empatia dei pazienti. Ora questa teoria ha una conferma sperimentale. 


E quelli dei mesi precedenti!
qui sotto trovi gli articoli di cui si è parlato i mesi scorsi


L'articolo di questo mese è l'ultimo che abbiamo pubblicato, ( il primo dopo il COVID! )

M Ambrosecchia, MArdizzi, Elisa C Russo,
F Ditaranto, M Speciale, P 
Vinai, P Todisco,
S Maestro, V Gallese

Front Psychol. 2023; 14: 1197319
Tratta del riconoscimento implicito ed esplicito del proprio corpo, sempre a proposito di embodied simulation, delle pazienti affette da anoressia nervosa. ln pratica si chiedeva alle pazienti di riconoscere la foto della propria mano (modificata al computer per renderla meno riconoscibile)  tra quelle delle  altre pazienti. A livello esplicito non ci riuscivano, ma riuscivano più frequentemente a riconoscere se la mano presentata era la destra o la sinistra quando vedevano la propria mano. come peraltro anche i soggetti di controllo. senza evidentemente essere consapevoli del fatto che quella fosse la loro mano. 


Tanto per non essere monotono gli articoli di questo mese sono due, entrambi del gruppo di Rizzolatti. Per noi son passate solo quattro settimane, ma per i ricercatori dell’Università di Parma sono passati 4 anni di intense ricerche ed i risultati si vedono! Dal timido articolo del 1992 in cui i neuroni specchio non avevano ancora un nome né molte ipotesi sul loro ruolo neurofisiologico sono nati due articoli molto più corposi.

l primo:

 Premotor cortex and the recognition of motor actions

 Rizzolatti, L Fadiga, V Gallese, L Fogassi 

Cognitive Brain Research 3 (1996) 131- 141

è un articolo teorico, in cui si ipotizzano i ruoli possibili del sistema mirror,  Rappresentare un’azione ma indipendentemente dall’essere coscienti di quanto avviene. In pratica il soggetto percepisce che l’altro compie un’azione e rappresenta nel suo cervello non soltanto il repertorio motorio dell'altro, ma ne prevede anche l’intenzionalità, memorizzando queste informazioni per poi farne uso al momento opportuno. Questa ipotesi apre la porta a quelli che saranno i futuri sviluppi della ricerca su neuroni specchio empatia ed embodied simulation. L’articolo ipotizza poi delle affinità tra l’area F5 del cervello del macaco e l’area di Broca (deputata al linguaggio) dell’uomo e vi si parla inoltre dell’ipotetica esistenza dei MN nell’uomo e del loro ruolo nella comunicazione non verbale, ma di questo parleremo il prossimo mese….

mentre il secondo
Action Recognition in the Premotor Cortex.
V Gallese 1, L Fadiga, L Fogassi, G Rizzolatti
Brain. 1996 Apr;119 ( Pt 2):593-609
sullo stesso argomento è pubblicato su Brain, una bibbia per i neurologi. E’ curioso notare che nell’abstract e nella prima parte dell’articolo il termine “mirror” associato alla classe di neuroni appena scoperti è scritto tra virgolette, quasi a cautelarsi , a non andare troppo oltre nelle supposizioni sul ruolo di queste cellule cerebrali. Solo nella discussion il termine mirror neurons è scritto senza virgolette, di lì in poi non ci sarà più bisogno di brakets, i neuroni specchio (MN) hanno acquistato dignità scientifica ed il loro nome è uno dei termini neuro scientifici più usati anche dai non addetti ai lavori. Ma a cosa servono i MN? I ricercatori di Parma fanno varie ipotesi:
  • Preparare un movimento, ma l’ipotesi regge poco perché si attivano anche se il movimento visto non viene poi compiuto dalla scimmia
  • Rappresentare un azione nel cervello come un allievo che memorizzi i movimenti del maestro con uno strumento musicale per poi ripeterlo.

Per sentir parlare della funzione dei neuroni specchio nell’uomo, si è dovuto attendere il 2003 quando Vittorio Gallese pubblicò questo articolo.

The manifold nature of interpersonal relations: the quest for a common mechanism.

Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci. 2003 Mar 29;358(1431):517-28.

Gallese V.

In cui collegava l’attività del sistema mirror alle relazioni umane ed all’empatia. La firma di un unico autore in calce ad un articolo scientifico non è un evento comune ai nostri tempi, perché la ricerca scientifica oggi non è l’opera di uno scienziato solitario chiuso nel suo laboratorio, ma il frutto di una collaborazione tra ricercatori con competenze diverse che lavorano ad un progetto comune. Per questo l’unica firma è un evento raro e non casuale. Spesso significa che l’autore vuol rimarcare la paternità di una ipotesi, ( o che nessun altro ha voluto sottoscriverla). Non so quale di queste due ipotesi si attagli a questo studio, ma l’ipotesi era veramente geniale e l’articolo affascinante; in poche parole l’autore sostiene che ciascuno di noi quando vede un altro essere umano manifestare un’emozione la riproduce contraendo i muscoli del proprio volto in modo da simularla, e che percepisce l’emozione sentendola dentro di sé come se le due persone diventassero per così dire una cosa sola per un attimo condividendo nel proprio corpo quella specifica emozione. Questa interazione è automatica inconscia pre riflessiva ed in dipendente dalla volontà dell’individuo. Sono particolarmente affezionato a quest’articolo perché insieme al dottor Maurizio Speciale lo abbiamo lungamente studiato ed ha rappresentato il primum movens per ideare la Self mirroring therapy, che sfrutta proprio questo meccanismo di simulazione delle emozioni percepite per aiutare i pazienti a riconoscere le proprie emozioni.

In un momento di profondo narcisismo abbiamo deciso di scegliere il nostro articolo:

Explicit and Implicit Responses of Seeing
Own vs. Others’ Emotions:

An Electromyographic Study on the Neurophysiological and Cognitive Basis  of the

Self-Mirroring Technique

non perché pensiamo sia il migliore che abbiamo letto in queste settimane, ma perchè è uno dei pochi che studino il funzionamento del substrato neurobiologico su cui opera un intervento psicoterapico. Tutti noi cognitivisti usiamo l'ABC, o il laddering, ma il loro utilizzo è in gran parte empirico, senza che ci si curi di studiare che effetto ha il nostro intervento sul cervello del soggetto, al massimo ci si interessa dell'effetto sulla mente, ma l'encefalo per la psicoterapia rimane in gran parte una black box. Ci si può nascondere dietro al fatto che ciò che a noi interessa è il funzionamento del software cerebrale, (la mente) e che poco ci importa dell'hardware che lo sostiene, ma se ci si vuole confrontare con la farmacoterapia, per la quale l'azione sull'hardware è centrale, non ci pare possibile eludere questo tema. La SMT parte proprio dall'hardware, dal funzionamento dei neuroni specchio, per offrire una nuova tecnica psicoterapica. Nello studio presentato in questo articolo, sono state presentate ad un gruppo di studenti universitari, delle scene di film che attivassero intense emozioni, e video-registrati i loro visi mentre vi erano dipinte queste emozioni.

Successivamente sono stati loro mostrate le immagini dei loro volti emozionati e di quelli degli altri partecipanti, testando con l'elettromiografia (EMG) se la visione del proprio volto emozionato, l'intervento alla base della SMT, inducesse una diversa contrazione dei loro muscoli faciali rispetto alla visione degli altri volti emozionati. Questa ipotesi è stata confermata: la visione del proprio volto emozionato ha un effetto maggiore sui muscoli del proprio volto rispetto alla visione del volto emozionato di altri consimili che mostrino la stessa emozione . Questi dati offrono un sostegno sperimentale neurofisiologico all'attività della SMT.

Understanding Motor Events: A Neurophysiological Study

G di Pellegrino, L Fadiga, L Fogassi, V Gallese,
G Rizzolatti

Era il 1992 ma pare un secolo fa, un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma scopre che alcuni neuroni di una parte della corteccia cerebrale del macaco, si attiva non solo quando la scimmia muove una mano, ma anche quando vede lo sperimentatore davanti a lui muovere la mano. Questo dato era stranissimo perché fino ad allora si pensava che il cervello fosse composto da due tipi distinti di cellule: neuroni motori, ossia quelli che ci permettono di muovere i muscoli, e neuroni sensitivi che ci permettono attraverso i cinque sensi di conoscere la realtà che ci circonda. Il sistema era pensato come un’autostrada a due corsie separate senza alcuno “scambio di carreggiata”, mezzo cervello riceveva informazioni e mezzo muoveva i nostri muscoli. Così l’avevo studiato sui testi di anatomia. Le vie erano chiare, senza confusioni : andata e ritorno. Da una parte i neuroni sensitivi prendevano informazioni dall’esterno e le portavano al cervello (ad esempio quelli che ci permetto di vedere che vanno dagli occhi al cervello), dall’altra quelli motori dicevano ai nostri muscoli come muoversi. La notizia era strana e venne pubblicata in questo articolo di sole 4 pagine, pubblicato su Experimental brain research. La parola Neuroni Specchio non era ancora nata, non viene mai riportata nell’articolo, ma nella parte finale gli autori iniziano a ipotizzare che questi neuroni potrebbero essere importanti nella vita di relazione dei macachi, o a tentare di spiegare alcuni comportamenti dei pazienti con lesioni di quell’area del cervello. Una grande scoperta passata sotto traccia, quasi che gli sperimentatori stessi non ne fossero così convinti ed avessero timore di portarsi troppo avanti nelle loro considerazioni teoriche, un ottimo esempio per chiunque faccia ricerca! Ci vollero quattro anni per pubblicare un altro articolo che iniziasse a citare il meccanismo dei Neuroni Specchio… ma questa è un’altra storia